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ISSA il giorno dopo

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imageIl seminario ISSA è passato, detesto gli articoli autocelebrativi e perciò questo non lo sarà. Però qualche considerazione mi sento di scriverla.

Il Palacongressi dove si è svolta la Convention ISSA, a Bellaria, è molto bello. Tutto a vetri, ingresso ampio con reception, una hall ovale con gli stand degli espositori, in alto un ballatoio con altre stanze. Noi eravamo in una di queste. Dalla hall si accede alla sala congressi, veramente bella, una specie di cinema o di teatro con tutte le poltroncine e un palco enorme con uno schermo gigantesco. Lì si è svolta la “vera” convention, con i nomi importanti.

Con schermo, proiettore, pesi, bilanciere, panca e appoggi, davanti ad un pubblico di oltre 40 persone, abbiamo esposto le nostre idee, il nostro modo di pensare. Eravamo emozionati, è indubbio. Io ero emozionato.

Perché eravamo di fronte ad un pubblico nuovo, personal trainer che devono poi utilizzare le conoscenze nuove per i loro clienti per migliorare il loro benessere. Noi siamo invece abituati ad atleti, allenatori, anche appassionati (io ad esempio lo sono) che vogliono o hanno bisogno di migliorare le loro prestazioni. Due tipi differenti di professionisti in settori differenti.

Per noi, pertanto, si è trattato di una sfida. Abbiamo cercato di proporre un concetto di “esercizio” che deriva dallo sport, anche per chi sport non lo vuole fare per motivi assolutamente leciti. Pensiamo, infatti, che lo Sport, con tutti i suoi estremi e i suoi eccessi, abbia sviluppato un bagaglio di conoscenze non solo per massimizzare la performance, ma anche il benessere articolare.

Questa affermazione può sembrare d’impatto paradossale, ma si basa su questa assunzione: nessun atleta metterebbe il suo corpo nelle peggiori condizioni per ottenere un risultato, perché il risultato viene dall’allenamento e se un atleta si infortuna non può allenarsi. Perciò in qualsiasi sport atleti ed allenatori hanno scoperto autonomamente in maniera inconscia, non formalizzata, non dichiarata, come preservare i propri atleti. Quello che noi vogliamo fare è evidenziare tutto questo: noi non scopriamo niente di nuovo, rendiamo evidente quello che lo sport conosce già.

Queste conoscenze possono tranquillamente essere utilizzate per il benessere. La biomeccanica di uno squat con 400 kg è la stessa di un sollevamento da una sedia in riabilitazione, cambiano le quantità ma non le logiche e le leggi.

L’altro aspetto in cui noi crediamo è che un professionista del settore, personal trainer o allenatore che sia, abbia un ruolo di insegnante. Insegnante motorio, ma insegnante. E deve insegnare qualcosa di motoriamente complesso. Perciò gli esercizi si provano e se non ci si riesce… si insiste. La nostra esperienza ci dice che quello che sembra un limite articolare, posturale, organico quasi sempre invece è non aver dedicato tempo all’esercizio. Non mi riesce una cosa: è un muscolo retratto o semplicemente che non lo so usare? Faccio dei test posturali, scopro che non ho alcuna retrazione (classico, i femorali rigidi, lo psoas rigido): bene, insisto a voler imparare l’esercizio.

Questi sono i due punti metodologici che ci caratterizzano.

Abbiamo ricevuto molti complimenti al termine del seminario. Allo stesso tempo, ho visto anche facce perplesse e abbiamo riscontrato alcune critiche. Critiche garbate, intelligenti e molto importanti, che mi hanno fatto riflettere. In sintesi, “quanto tutto questo è spendibile nel nostro contesto lavorativo?”

È ciò che mi sono chiesto, e ci siamo chiesti, nei mesi di preparazione a questo seminario. E sono sempre stato combattuto su questo punto. Per rispondere a questa critica, vorrei per prima cosa dire che eravamo coscienti di tutto questo. Non vi abbiamo proposto cose a caso senza considerare il vostro contesto. Siamo anche coscienti che vi abbiamo proposto qualcosa che può sembrare una rottura con un passato importante.

In realtà, non c’è alcuna rottura ma una integrazione. Personalmente, penso che il personal trainer debba avere una visione a 360° delle problematiche motorie, comprendendo le logiche degli esercizi indipendentemente dal contesto. La biomeccanica di base è sempre la stessa, le domande e le problematiche sempre le stesse. Non solo, ma è necessario iniziare a porsi domande su aspetti che sembrano assodati quando invece si tratta di semplice “tradizione” o “si è sempre fatto così”.

Il modello che abbiamo proposto è, permettetemelo, basato sulla Scienza non solo perché basato su studi scientifici, ma principalmente perché basato su domande e dubbi a cui vogliamo dare risposta con i canoni galileiani di “esperimento”. Se pertanto abbiamo proposto elementi differenti dalla tradizione, questi elementi sono basati su dati, in modo da poterne discutere per confermarli o confutarli.

Un problema che denoto è che se il materiale umano è il sedentario medio, alla fine si è portati a pensare che il corpo umano sia molto più fragile di quello che in realtà non è. Un differente punto di vista può essere perciò utile.

Un esercizio a difficoltà superiore, fatto con tutti i crismi di gradualità e di analisi del soggetto, permette di utilizzare i “soliti movimenti” in maniera del tutto nuova. Per esperienza, chiunque impari qualcosa che prima non riusciva a fare è soddisfatto.

La chiave di lettura del materiale che è stato proposto, la sua contestualizzazione, dipende essenzialmente da voi. Siete voi che dovete crederci. Allora vi servirà.

Quello che è accaduto è stato un incontro di contesti differenti. L’esperienza è stata per noi interessantissima. Ci saranno degli sviluppi? L’importante è a mio avviso la coerenza dei rispettivi principi fondanti, nel nostro caso quanto affermato in questo articolo. Poi, un punto di mediazione delle esigenze si trova sempre.


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